L’unicità sul palco del mondo.
Non ho mai seguito Sanremo così tanto come in questi ultimi due anni e credo che sia così per la maggior parte del target giovanile, infatti gli ascolti sono andati alle stelle, ma perché (anche se ho avuto qualche difficoltà con le palpebre che si abbassavano da sole)?
Perché, seppur superficialmente e falsamente, questi sono stati gli anni in cui sul palco c’è stata una piccola rivoluzione.
“Superficialmente” e “falsamente” perché nonostante noi tutti facciamo finta di essere moderni, talvolta cadiamo nel tranello del bigottismo. Non ho parlato o detto nulla, perché volevo farlo qua, dare il mio parere non richiesto su questo foglio bianco, non perché devo, ma perché voglio.
Cominciamo dunque con Achille Lauro: l’ho amato, così sovversivo, ma così rispettoso nei confronti della Berté, così gentile, così umano. In tantissimi lo criticano, per il personaggio che sul palco presenta, un ragazzo un po’ sfacciato, che viaggia sul filo del rasoio tra il volgare e l’eleganza: ma vi dirò, a me piace, lo trovo originale, un po’ come trovammo originale Lady Gaga ai suoi inizi (e io ammetto che non riuscii ad apprezzarla a pieno).
Mi è piaciuto il duo di Emma e la Michelin, due donne che lottano per le donne, ma che si affacciano a un mondo pari, sempre senza paura, sempre senza redini. Ci sono stati diversi commenti, online, ma sono sicura anche tra il pubblico, sulle “cosce importanti” di Emma, che nonostante questo ha voluto comunque indossare le calze, e la cosa che più stupisce è proprio il fatto che a fare il commento sia stato un giornalista: se lo avessi davanti gli direi, senza mezzi termini, che le cosce importanti, grosse o piccole, son fatte per sguardi importanti, mica per piccole persone che non sanno guardare.
Ho adorato Michele Bravi, ironico, un po’ timido, sempre completamente se stesso, senza bisogno di fingere, così trasparente: durante tutto Sanremo faceva video TikTok in cui o si complimentava con altri artisti, o faceva il burlone, e niente, mi è piaciuta sia la canzone che il personaggio, per non parlare del fatto che mi sono commossa nel momento in cui si è girato a ringraziare Drusilla Foer, che con la sua presenza, ma soprattutto col suo monologo, ha stupito anche i più forti di cuore.
Il suo monologo, andato in onda a tarda ora della terza serata (anche questa cosa non la capirò mai, ma passiamo avanti) parlava di unicità. L’unicità di noi tutti, che a volte ci coglie impreparati, imbarazzati e sorpresi; quella unicità che si caratterizza magari anche nei momenti più sbagliati della nostra vita, ma che non può fare a meno di esistere; quella unicità tipica di chi sa cogliere i dettagli e farne oro; quella unicità, però, di cui non dobbiamo avere paura, da cui non dobbiamo allontanarci per volere altrui e per cui dovremmo lottare sempre.
La società ci dice quello che dobbiamo fare, chi dobbiamo essere, come dobbiamo farlo, ma c’è qualcosa di più concreto, di cui mi sono resa conto qualche giorno fa, che è più forte, che è più vero, alla quale, per davvero, non possiamo contrapporci; qualcosa che ci fa risultare puntini in mezzo a un romanzo di mille pagine: la natura.
Ecco, contro la natura non possiamo niente, siamo suoi ospiti, ma è giusto così: è lei che detta le regole, mica l’uomo.
E se io per natura mi sento unica, chi è questo piccolo uomo-puntino per contraddirmi?
Drusilla Foer la “conobbi” anni fa, dopo che intervistai Daniele Ancarani e Fabio Alibrandi (ma anche tramite il video di Freeda), la quale posò per le loro scarpe (portate anche al Festival di Sanremo) e la amai: un personaggio senza pari, a mio avviso.
Mi sono caricata con Gianni Morandi, sempre al passo coi tempi e mai banale: con la canzone scritta da Jovanotti ha spopolato, che non era affatto male, ma credo che ciò che lo ha fatto portare tra i primi tre sia stato proprio la sua esuberanza, il suo entusiasmo, la sua voglia di vita.
Innamorata del duo di Blanco e Mahmood, che tutti hanno sperato andassero in una direzione più sentimentale e sessuale, anziché solo lavorativa e amichevole (lo so, ci avete sperato tutti), però credo siano stati anche troppo sopravvalutati. Carino Irama e la canzone molto bella, anche se il suo personaggio non mi fa impazzire, in verità.
Gianluca Grignani credo che non fosse ancora pronto a salire sul palco: in molti lo hanno criticato e ammetto che inizialmente anche io non l’ho visto di buon occhio (a me non mi ha mai particolarmente emozionata Gianluca Grignani), però credo che avesse semplicemente bisogno di più tempo.
Non mi è piaciuto, invece, come son state gestite le serate: seppur Amadeus sia stato cordiale e rispettoso, ritengo che debba essere gestito, il festival di Sanremo, da entrambi i sessi, sullo stesso piano: ci vuole un equilibrio tra i due, sintonia, collaborazione. Ci sono stati, infatti, diversi momenti delle serate in cui Amadeus non ha fatto il bravo padrone di casa, non lasciando parlare, o lasciando parlare solo in certi momenti, chi conduceva con lui la serata: eh eh Amadeus, non si pecca in questo modo, anche se tutto sommato hai saputo gestire bene tutto quanto.
Nel complesso è stato un Sanremo emozionante, perché è stato portato proprio ciò che Drusilla menzionava: l’unicità.
Mi chiedo cosa saremmo senza di essa, come farebbero a distinguere la nostra persona, come farebbero ad amarci, se fossimo tutti uguali? Eppure è una contraddizione, perché la società, quella becera e infame società, creata da noi stessi, ci vuole tutti uguali, tutti senza la nostra unicità, perché è proprio questa a essere presa in giro, a essere denigrata e discriminata. Cosa dovremmo essere allora, noi, trovandoci nel limbo del caos, senza sacchi a pelo in cui rifugiarci e senza luce per vedere ciò che siamo?
Semplicemente ciò che sentiamo di essere: abbiamo cinque sensi, usiamoli.
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